domenica 28 settembre 2014

Doping: liscio, gassato o di Stato?

Quando il 6 agosto 2012 venne annunciata urbi et orbi la positività di Alex Schwazer, non pochi pensarono che fosse un caso isolato: a distanza di due anni, e dopo un certosino lavoro da parte della Procura della Repubblica di Bolzano, si è scoperto come non solo ci fosse una copertura a livello federale, ma anche che molti atleti svicolassero dai controlli anti doping. Decisamente peggiore risultava la risposta della FIDAL, che, a fronte delle reiterate irreperibilità, richiamava gli atleti renitenti con una banalissima lettera.

Della vicenda si è occupato il buon Claudio Gatti, giornalista del Sole 24 Ore, sul suo blog Gradozero, a cui rimando per una completa ed esaustiva analisi della vicenda Schwazer, con tutti gli annessi e connessi. In queste righe, vista la mole della materia, mi accontento di sottolineare alcuni aspetti, a mio avviso decisamente interessanti ma (ahimè) poco conosciuti al grande pubblico, lasciando sul sentiero qualche riflessione sparsa.

Uno dei pionieri nello studio e nella lotta del doping è sicuramente il tecnico e dirigente FIDAL Sandro Donati, che, nell'ormai lontano 1989, scrisse "Campioni Senza Valore"; nel libro, oggi purtroppo introvabile, l'autore prediceva che, in assenza di opportuni controlli, il doping sarebbe esploso non solo nel professionismo, ma anche nel mondo dei dilettanti, con ovvie ricadute socio-sanitarie. Ricadute? Certo, visto che la storia del doping non è costellata di soli successi, ma pure di morti sospette o ritiri prematuri (nel libro si fanno nomi e cognomi). E la Federazione? All'interno pochi vigilavano, molti minimizzavano, altri ancora spingevano (più o meno segretamente) per l'ingresso delle farmacie nei campi d'allenamento.

Nel 1998 un'espressione simile ("dobbiamo fare uscire le farmacie dai campi di calcio") venne utilizzata dal tecnico boemo Zdenek Zeman, che alla vigilia del campionato di serie A, opinò su alcune sospette "esplosioni muscolari" di giocatori tendenzialmente magri (Vialli e Del Piero) focalizzando le proprie dichiarazioni sulla Juventus (anche se in altre interviste non negò tali pratiche in altri società). Non si trattava di semplici voci di corridoio, ma solo a Torino il procuratore Raffaele Guariniello istruì un'inchiesta, conclusa con un patteggiamento (il dottor Giovanni Rossano, titolare della farmacia fornitrice della Juve) e un rinvio a giudizio (il dottor Riccardo Agricola, capo dello staff medico bianconero). Successivamente quest'ultimo si salvò in Cassazione, con l'annullamento delle assoluzioni via Appello e la contemporanea prescrizione dei reati per i capi d'imputazione. 

La lezione dell'affare Juve - Doping, al di là degli aspetti processuali (scomposte esultanze incluse), è che le pratiche mediche utilizzate a Torino erano la quintessenza del doping: usare su soggetti sani farmaci originariamente concepiti per la cura di patologie non è solo pericoloso, ma va a falsare le prestazioni degli atleti coinvolti, oltre a metterne in serio pericolo la salute. Basta pensare all'EPO (eritropoietina), che aumentando la densità del sangue (ematocrito), rischia di creare scompensi nei soggetti assuntori (segnatamente a carico del sistema cardio-circolatorio), 

A margine una nota personale: risulta strano che il dottor Agricola, illustre sconosciuto nel panorama accademico, sapesse cosa utilizzare e in che dosi: nella Medicina dello Sport (specialità in cui il medico bianconero è titolato) esistono protocolli derivanti da sperimentazioni, non bastando i semplici bugiardini. Non è azzardato ipotizzare la supervisione di qualche luminare, avvolto dalla morbida cappa dell'omertà. Non che la Juve sia o sia stata l'unica, anzi...

Tornando a Schwazer e all'omertosa cortina con cui è stato protetto dalla FIDAL, le sue lacrime in diretta TV mi hanno ricordato Marco Pantani, forse per le solite connessioni del dormiveglia o per le suggestioni dell'amico Bertazzi. E' notizia recente la riapertura dell'inchiesta sulla morte del ciclista romagnolo e gli elementi raccolti dalla Procura di Rimini fanno sospettare la chiusura forzata della prima azione penale.
La riapertura pare quindi dovuta, viste le numerosi voci dissonanti raccoltesi negli anni e soprattutto, vista l'ipotesi di reato (omicidio mediante somministrazione forzata di cocaina) che apre scenari inquietanti. Già, ma come si collegano le due vicende? Forse Pantani era diventato scomodo, soprattutto nel mondo delle due ruote, ove le apparenze ingannano (per usare un eufemismo). La notoria vicenda Armstrong ha insegnato parecchio in materia, con complicità ai massimi livelli: forse le lacrime e le parole di Schwazer sono da intendersi come a dire "ho fatto tutto io", "non indagate oltre, altrimenti mi fanno fare la fine di Pantani".
Venendo alla morale, gli utili del doping sono privatizzati (record, sponsorizzazioni, fama) mentre i costi sociali (vedasi terapia per alcune patologie indotte) ricadono sulla collettività: non solo per gli atleti di vertice, ma anche per quei tapascioni che in cambio di 5 minuti sul proprio personale si ingozzano di schifezze. Anche questa è una profezia di Donati.

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